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VIAGGIO ATTRAVERSO L'IMPOSSIBILE - sogni di cinema, a cura di Francesco Vignaroli. Puntata numero 35, "Ginger e Fred"

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ITALIA / FRANCIA / RFT  1985   122’  COLORE

REGIA: FEDERICO FELLINI

INTERPRETI: GIULIETTA MASINA, MARCELLO MASTROIANNI, FRANCO FABRIZI

VERSIONE DVD: SI’, edizione DALL’ANGELO PICTURES



“NON SI ESCE VIVI DAGLI ANNI ‘80” (titolo di una canzone degli Afterhours)

MAI PIU’ SENZA TELEVISIONE!” (Franco Fabrizi, dal film)

“A 60 MILIONI DI ITALIANI IO STASERA DICO TUTTO” (Fred)  “MA…COSA DICI?” (Ginger)  “PE-CO-RO-NI!” (Fred)



Famosi negli anni ’40 come ballerini di tip tap e imitatori della coppia Fred Astaire/Ginger Rogers, Amelia (Masina) e Pippo (Mastroianni), ormai attempati, si riuniscono a Roma per un’inattesa rentrée, ospiti del programma televisivo “Ed ecco a voi…”. La trasmissione non è altro che una sgangherata sfilata di casi umani per tutti i gusti: un pretino che ha rinunciato al sacerdozio per amore, una donna che ha lasciato il marito e i figli per un alieno, una casalinga in piena crisi di astinenza dopo aver trascorso un mese senza TV, un transessuale con desideri di maternità, un imprenditore vittima di un sequestro da record per durata della detenzione e prezzo pagato per il riscatto, un criminale con velleità artistiche, un onorevole che digiuna da quarantacinque giorni per protestare contro la caccia… E poi, ancora: imitatori, freaks, miracolati dalla chirurgia plastica e persino una prodigiosa mucca con diciotto mammelle! Immersi in un tale circo, nonostante i ripensamenti e le difficoltà, Ginger e Fred riescono comunque a portare a termine il loro numero e a ricevere l’ultimo applauso della carriera, prima di separarsi di nuovo.

“Ed ecco a voi…” gli anni ’80! Sono tempi duri per i sognatori: il consumismo, l’arrivismo, l’individualismo, l’egemonia culturale della televisione (commerciale)… tempi così aridi e prosaici, da mettere in crisi perfino uno dei più grandi sognatori di tutti i tempi, che qui esprime tutto il proprio disorientamento nei confronti di una realtà che fa sempre più fatica a comprendere. Fellini mette alla berlina gli “anni da bere” con uno sguardo grottesco, sarcastico, iperbolico, a tratti forse perfino affettuoso e rassegnato, dietro al quale fanno però capolino l’orrore e il disgusto. Come ben esprime la Roma da incubo rappresentata nel film: un non-luogo grigio e asettico, ovunque cumuli di spazzatura fumante e volgari cartelloni pubblicitari, lamenti di sirene a squarciare l’aria e paranoidi fasci di luce a scrutare la notte… Una visione apocalittica, che sembra invece lasciare indifferenti i personaggi di Ginger e Fred, evidentemente assuefatti e insensibili a un tale spettacolo. L’unico a mostrare un barlume di coscienza e, almeno a parole, a tentare una ribellione è il disincantato Pippo/Fred che, insieme alla compagna Amelia/Ginger, si configura come un elemento spurio, una presenza anacronistica (“SIAMO DEI FANTASMI CHE VENGONO DAL BUIO, E NEL BUIO SE NE VANNO”, dice a Ginger), un relitto di un passato che non “è” più; pur se con un atteggiamento un po’ passivo, anche Amelia è frastornata e spaesata dal caotico e rumoroso mondo che la circonda: la sua inadeguatezza ai tempi è palese. Gli anni ’80 messi in scena nel film, in fondo, rappresentano soltanto una versione iperbolica, spinta al parossismo, di quelli reali, e questa rappresentazione non manca di profetiche anticipazioni circa la futura e(in)voluzione della società (e Fellini si è perso quasi tutti i ’90 e il nuovo millennio: come li avrebbe raccontati?!?!). In quest’ottica, cosa se non la televisione, impietoso specchio dell’umanità, può restituirci il ritratto più veritiero di “come eravamo”? Sono gli anni in cui le reti private si affermano prepotentemente, con una strategia editoriale contro-culturale che parla alla pancia della gente, assecondandone i desideri meno “nobili”, compresa l’accanita ricerca di una manciata di minuti di notorietà (“…E POI QUESTO MITO DELLA TELEVISIONE CHE CI AFFASCINA TUTTI”, risponde Ginger a una giornalista che le ha chiesto per quale motivo ha deciso di partecipare al programma). E allora, via con i primi programmi spazzatura, che non si pongono limiti quanto a costante ricerca di sensazionalismo, patetismo, volgarità, spettacolarizzazione del dolore, esaltazione dei fenomeni da baraccone… Il tutto appellandosi all’ignoranza e alla faciloneria dei telespettatori medi, andando ben oltre l’aggettivo “nazional/popolare” che tanto offese Pippo Baudo. “Ed ecco a voi….” sembra ben riassumere queste “virtù” televisive, ricordando fin troppo da vicino certe puntate del Maurizio Costanzo Show, e anticipando molti programmi che sarebbero nati in seguito (anche sulle reti pubbliche).  A perfetto suggello di tutto ciò, come elemento essenziale della TV commerciale, l’onnipresenza dei “consigli per gli acquisti” (alcuni dei quali davvero geniali), che imperversano per tutto il film. Gli spot pubblicitari costituiscono l’apoteosi del nuovo corso culturale: slogan cretini e allusioni sessuali in quantità industriale, anche se si tratta di reclamizzare una marca di pastasciutta. Finisce per farne le spese pure il povero Dante Alighieri, anch’egli sacrificato sull’altare della reclame –cosa che poi, peraltro, sarebbe accaduta veramente: ricordate la Divina Commediascritta sulla miracolosa carta igienica chilometrica “Foxy”? In quest’oceano colorato e sguaiato che è la nuova televisione, emerge timidamente una piccola isoletta di sobrietà, quiete, garbo: l’esibizione della coppia d’altri tempi, che solo per un attimo interrompe il frenetico e chiassoso divenire del presente. Parafrasando Bertolucci, l”ultimo tip tap a Roma” crea una piccola magia, e spegne le luci (letteralmente!) su tutto ciò che accade intorno, proprio come il valzer appassionato che Gonnella (Paolo Villaggio) balla con la duchessa, ammutolendo i discotecari, ne La voce della luna (1990), l’ultimo film di Fellini, nel quale il Maestro prosegue il discorso di Ginger e Fred in maniera forse ancor più radicale, girando di fatto un seguito ideale di quest’ultimo. E dire che Fred, approfittando dell’improvviso blackout generale nello studio, stava per convincere Ginger a rinunciare all’esibizione e a scappare via, omaggiando il publico con “l’italico gesto dell’ombrello” (Mereghetti), proprio come Alberto Sordi, più di trent’anni prima, aveva fatto ne I vitelloni. Ma, per accorgersi di quanto i tempi siano cambiati, e di quanto diverso sia il valore dello stesso gesto effettuato da due personaggi tra loro così lontani, è sufficiente considerare i rispettivi destinatari dell’invito a “quel paese”: dai “LAVORATORI” si è passati ai “TELEDIPENDENTI”…
Fine del numero, fine della magia: soltanto una piccola interruzione, già dimenticata da tutti. E nel finale, dopo che Ginger e Fred si sono separati, la cinepresa lascia l’ultima parola…a chi? Alla televisione, ovvio! Ed è di nuovo un accavallarsi di sinto-musica e slogan per convincere i cittadini…oops! Volevo dire i consumatori, a comprare quella marca di pasta piuttosto che un'altra…

Qualche annotazione sui dettagli tecnici e artistici di Ginger e Fred, che a mio parere giustificano l’inserimento del film, poco noto presso il grande pubblico, tra i “Fellini” maggiori.
Innanzitutto, va detto che il Maestro, nonostante lo squallore del contesto che lo ha ispirato, mantiene inalterata anche in Ginger e Fred la sua proverbiale, sfrenata visionarietà: miracolosamente, la fantasia rimane al potere! Basti vedere i costumi dei vari personaggi che si aggirano per gli studi televisivi, oppure le oniriche coreografie che fanno da contorno al programma “Ed ecco a voi….”, un tripudio di colori e invenzioni in puro stile felliniano! Un altro tipico elemento che ritroviamo nel film, probabilmente in dosi maggiori rispetto ad altre opere del regista, è la presenza di scene caotiche e concitate dove più personaggi si agitano e parlano contemporaneamente, provocando nello spettatore un effetto ansiogeno e straniante, che in questo caso esprime alla perfezione la confusione e la rumorosità di quei tempi.
Vale ampiamente il prezzo del biglietto anche l’interpretazione dei due protagonisti, una coppia Mastroianni-Masina in perfetto affiatamento. In particolare, a spiccare è il grande Marcello, l’attore preferito da Fellini, qui autore di una delle sue interpretazioni più memorabili di sempre: sornione, ironico, commovente.
Molto belle le musiche di Nicola Piovani, che in Ginger e Fred recitano un ruolo a dir poco fondamentale; il giovane (all’epoca) compositore non fa rimpiangere il Maestro Nino Rota, storico collaboratore di Fellini fino alla fine degli anni ’70.
Partecipa al film, non accreditata, una giovane e riconoscibilissima Moana Pozzi, protagonista di alcuni dei finti spot pubblicitari (come quello dell’”Olivoil”).


Francesco Vignaroli

Nel momento dei bilanci, l’Anfiteatro Festival lotta per non snaturare la sua anima. Di Paolo Leone

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Si è conclusa la sera del 15 agosto la quarta edizione dell’Anfiteatro Festival di Albano Laziale, con un bellissimo spettacolo di Flamenco. Un cartellone ricco, per tutti i gusti, dalla lirica (fiore all’occhiello della produzione Europa Musica), al teatro, alla musica classica, al jazz, fino agli esperimenti come il fantastico, insolito concerto del 13 agosto, i Carmina Burana nella tradizione popolare. Per la prima volta anche un appuntamento comico con la bravissima Teresa Mannino. Nomi illustri come Paola Quattrini e Ivana Monti, Nicola Piovani, Stefano Di Battista e Nicky Nicolai,la sorprendente Orchestra Nazionale Tzigana di Budapest, le due opere, Traviata e Don Giovanni, la commedia musicale con Maurizio Mattioli, la musica popolare di Nando Citarella.
E poi Giorgio Albertazzi, Gaia De Laurentiis con Roberto Ciufoli, Diego Ruiz e Francesca Nunzi per il teatro, spettacoli divertenti e originali come Strimpelli & Vinile che aveva aperto la stagione del prestigioso Teatro Sala Umberto di Roma.. Senza dimenticare l’omaggio di Fatima Scialdonea Evita Peron, quello alla ballerina Isadora Duncan e il travolgente flamenco finale con Lara Ribichini e Dario Carbonelli. Unica defezione, quella di Antonella Ruggiero che è stata costretta ad annullare il suo concerto per motivi di salute. Il Corriere dello Spettacolo ha seguito per i suoi lettori tutti gli spettacoli, recensiti negli articoli precedenti, e non potevamo non tracciare un bilancio di questa bella manifestazione con chi ha voluto fortemente il Festival per la quarta volta consecutiva e con il suo direttore artistico, rispettivamente il sindaco di Albano Laziale, Nicola Marini, ed il Maestro Renzo Renzi.

Sindaco, so che lei ci tiene molto a questo Festival e lo ha dimostrato con la sua presenza costante tutte le sere. Ho l’impressione, mi dica se sbaglio, che Albano stia puntando ormai da qualche anno sulla cultura, anche in tempi grami come questi.

No, non sbaglia affatto! E’ stata un’iniziativa in cui abbiamo fortemente creduto sin dall’ìnizio, insieme al Maestro Renzo Renzi e con tutta l’associazione di Europa Musica. Devo dire che ci ha dato grandissime soddisfazioni e ce ne ha date anche con questa quarta edizione. Oggettivamente, stiamo cercando di dare grande valore a quella che è l’offerta culturale della nostra città, sia per il cartellone estivo che per quello invernale, anche perché ritengo che, aldilà di quello che può essere il valore intrinseco della cultura e di tutte le sue rappresentazioni, dietro all’offerta culturale si possa anche sviluppare un indotto che porti Albano ad essere sempre più una città ricettiva. Anche con il Teatro Alba Radians facciamo una bella stagione teatrale, spesso ospitiamo delle prime assolute che poi andranno sui cartelloni di Roma. Daremo continuità a tutto ciò e posso dire che stiamo diventando un punto di riferimento per tutto il territorio dei Castelli Romani.

Nonostante le difficoltà e i tagli alle amministrazioni pubbliche, nella sua città si riesce a concretizzare un evento come questo dell’Anfiteatro Festival che dura quasi un mese. La sinergia con Europa Musica di Renzo Renzi è quindi la strada percorribile per realizzare questo appuntamento?

Sicuramente questa collaborazione è stata vincente e devo ringraziarli per tutto il supporto e l’entusiasmo che danno a questa iniziativa. E’ evidente che ci sono dei sacrifici e degli sforzi da fare. Come dicevo prima, riteniamo che la cultura sia un argomento centrale del nostro programma amministrativo e quindi, aldilà dei finanziamenti che gli enti sovracomunali possono elargire come contributo, noi impegniamo tutti noi stessi, non solo le risorse economiche, per poter dare ai cittadini, non solo di Albano, tutti questi spettacoli.

Maestro Renzo Renzi
Le lancio una piccola provocazione… Sta prendendo sempre più piede, fortunatamente, la riqualificazione di importanti siti archeologici grazie al teatro e ad eventi culturali. Ma è così difficile far vivere un posto meraviglioso come questo anche oltre il periodo del Festival?

Le difficoltà sono di carattere organizzativo e logistico. Però il fatto che l’anfiteatro sia tornato ad ospitare quello che ospitava duemila anni fa beh..già questo è una grande soddisfazione! Attorno a questa iniziativa noi vogliamo costruire qualcosa che diventi un contenitore culturale a 360 gradi. Ormai l’Anfiteatro Festival è un marchio riconosciuto, conosciuto anche sul mercato romano e quindi intendiamo valorizzarlo sempre più, facendolo diventare un contenitore con eventi di vario genere durante tutto l’anno, anche con altri appuntamenti culturali quali presentazioni di libri, tavole rotonde e quant’altro. Gli daremo senz’altro un respiro più ampio di quanto ne ha ora.
Potete vederlo aggirarsi come un ossesso prima degli spettacoli, dal palco al botteghino, all’ufficio stampa, soprattutto quando in ballo c’è la musica e l’opera lirica, suoi grandi amori. Il Maestro Renzo Renzi si è concesso graziosamente al Corriere.

Allora Maestro, è terminata la quarta edizione del Festival. Parto subito in quarta: sovvenzioni vicine allo zero, come fa ogni anno Europa Musica a produrre questo evento straordinario?

Eh, con l’impegno di tante persone che con entusiasmo remano tutte nella stessa direzione, con competenza, cercando di risparmiare, lavorando tantissimo e, devo dire, portando risorse dagli altri lavori che realizziamo in questo piccolo sogno che ogni anno cerchiamo di portare avanti. Questo è un posto meraviglioso, lo vediamo anche dall’espressione degli artisti che vengono, sono tutti affascinati da questo luogo. E’ talmente bello che merita i sacrifici che facciamo per svilupparlo.

Tracci un bilancio di questa edizione.

Aumenta il pubblico, ha uno zoccolo di spettatori già affezionati dopo quattro anni. Non è facile, perché questo è un posto bellissimo ma sconosciuto ai più. Incredibilmente, tante persone di Albano non c’erano mai state. Non è una zona di transito, bisogna venirci, e questo è un primo problema. Ma per noi quello più grande è l’investimento nella promozione. La nostra debolezza economica si vede molto in questo aspetto deficitario. Il nostro lavoro di produzione, in questi anni, ci fa avere tanti rapporti con musicisti, con artisti, e questo ci permette di farli venire qui chiedendogli di venirci incontro per un progetto di crescita, di sviluppo. Ed è bello vedere quanto tutti capiscano questo. Ma il nostro punto debole rimane la promozione. D’altro canto non vogliamo snaturare la qualità, non vogliamo snaturare la bellezza del posto..quindi l’allestimento, l’accoglienza, deve essere ben fatta, altrimenti è inutile. Chiaramente questa nostra debolezza ci mette in difficoltà anche nella scelta dei prodotti da offrire. Quest’anno abbiamo aperto un pochino di più all’aspetto ludico, ma sempre di qualità, con lo spettacolo comico di Teresa Mannino, con il Conte Tacchia, ma vogliamo che chi viene qui stia in un posto bello e veda spettacoli di qualità.

La produzione è la strada per far sì che questo Festival cresca sempre più?

Allora, Europa Musica e il Festival sono due cose un po’ separate. Mi spiego…ognuno deve operare nel suo campo, altrimenti non sarebbe serio. Noi siamo musicisti e ci occupiamo essenzialmente di produzione di  allestimenti operistici, oltre che sinfonici e da camera. La cosa bella di un Festival è che oltre che ospitare, abbia una sua anima! Nella produzione io ci credo molto. In un contesto come quello dell’opera lirica, in uno spettacolo lavorano 150/180 persone, si ha bisogno dell’eccellenza come in una fabbrica. Eccellenza della sartoria, della scenografia, del canto, della recitazione, del trucco, delle acconciature e altro. Noi nel Lazio, insieme al Teatro dell’Opera di Roma, siamo gli unici che accolgono i giovani in stage di formazione. Opportunità di lavoro, crescita, sviluppo. Lasciami dire che tutto questo non è assolutamente riconosciuto da tante istituzioni, soprattutto quelle regionali. Comune di Roma e Regione Lazio sono completamente assenti!

Ce l’ha un sogno alto per questo Festival, anche qualcosa di apparentemente impossibile?

Ma guarda, questo Festival ha delle potenzialità tali che nulla è impossibile, credimi. Abbiamo rapporti con tante persone, perciò l’impossibile non esiste. Il problema è che, a parte il Ministero ed il Comune di Albano , molto attento a questo evento, e in parte ACEA, non abbiamo sponsor che ci sostengano. Non si può certamente fare un grandissimo Festival con soltanto questi aiuti. Ma ci sono le competenze, i rapporti, il luogo, un Comune che, devo dire, ci sostiene per quello che può, e per un Comune come questo è un grande sacrificio, ma è comunque poco per un grande Festival.

Lei sta tergiversando…voglio che mi confidi un suo sogno!

Sindaco Nicola Marini
(ride – ndr) Vabbè dai…allora, aldilà delle Opere, e ti dico in anteprima che l’anno prossimo porteremo ad Albano una gigantesca Turandot, ti do questo scoop, sarà un allestimento imponente, se proprio devo dirti…un  mio sogno sarebbe fare un grande progetto qui all’anfiteatro col Maestro Roberto De Simone! Due sogni di sinfonica qui dentro: mi viene in mente il concerto di Mikis Theodorakis, il Canto General che fu eseguito a Salonicco in occasione della caduta della dittatura…farlo qui dentro sarebbe un sogno. E poi il bellissimo Requiem che De Simone ha scritto per Pasolini, un grande coro, una grande orchestra…il gruppo jazz, l’ottetto di canto popolare…meraviglioso! E infine Paolo, il mio sogno vero è avere un pubblico che venga a vedere ciò che non conosce. Quello ancora non ce l’abbiamo. Proporre ciò che non si conosce dovrebbe essere la vocazione di un Festival…purtroppo ogni volta che proponiamo qualcosa, magari di bellissimo, una vera chicca, ma sconosciuta, il pubblico non ci segue.

E come si può evitare questo problema?

Con il tempo, con l’autorevolezza di un Festival. Il problema è che per resistere nel tempo ci vuole un sostegno economico e, torno a ripetere, la possibilità di arrivare a comunicare, a promuoversi. Altrimenti è dura. Spesso, nelle cose più originali ed interessanti, il pubblico non ci ha seguito in questi anni. A proposito, io devo ringraziare voi del Corriere dello Spettacolo che avete seguito l’intera manifestazione. Ti ho detto che abbiamo carenza proprio nella promozione. Avere una testata che segue tutti gli spettacoli, per noi è un regalo immenso! Ed è il più grande aiuto, concreto, che possiamo ricevere. L’Anfiteatro Festival funziona perché siamo pochi, siamo competenti e lavoriamo tantissimo. Avere avuto il Corriere dello Spettacolo che ha raccontato e valutato il nostro lavoro ai suoi lettori, è stato importantissimo. Grazie, ve lo dico con tutto il cuore!


Paolo Leone

Intervista a Nicoletta Stortini, personal trainer di vip, atleti olimpionici e campionessa italiana di fitness. Di Claudia Conte

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Cari lettori del Corriere dello Spettacolo, oggi la vostra redattrice Claudia Conte è in compagnia di Nicoletta Stortini, personal trainer di vip, atleti olimpionici e campionessa italiana di fitness.

Cara Nicoletta, quando e come hai capito che il fitness sarebbe diventato la passione della tua vita?

Avevo solo tre anni quando mio padre mi iscrisse ad una scuola di equitazione inglese. A sei anni ero già quasi nell'agonismo! Crescendo lo sport è diventato parte integrante della mia vita.

So che sei stata campionessa italiana di fitness. Quali sono i segreti del successo sportivo e più in particolare del fitness?

Non ci sono segreti : c'è soltanto tanta preparazione e sacrificio.

Da anni sei personal trainer di personaggi dello spettacolo. Quali sono i vip che hai seguito nella preparazione atletica?

Sono personal trainer di numerosi personaggi dello spettacolo, ma, come già sai, per motivi di privacy non posso fare nomi. Visto che sia tu che Vincenzo Bocciarelli fate parte di questi posso fare almeno il vostro nome?

Certo che puoi! Sei anche preparatrice atletica di numerosi personaggi del mondo dello sport...

Per gli atleti non ci sono problemi di privacy... posso dirti che i più grandi miei atleti sono stati Ranieri Simone (campione olimpionico Sydney canottaggio), Sartori Alessio (due volte campione mondiale oro olimpico Sydney 2000 -argento olimpico Londra canottaggio), Brizzi Santino (campione europeo canottaggio ex Team Lunarossa e Team di Mascalzone Latino).
 
Stai per inaugurare uno dei centri sportivi più importanti del centro Italia, L'“Officina del corpo”. Non si tratta semplicemente di una palestra vero?

Io ed il mio compagno Francesco lavoriamo con il cuore e crediamo nella potenzialità di ognuno dei nostri clienti: si devono trovare a casa loro, sempre!

Hai raggiunto già molti traguardi nella tua vita, ma ora ti chiedo: c'è ancora un sogno da realizzare, qualcosa di ancora chiuso nel cassetto?

No, non ho sogni nel cassetto. Ogni volta che ho avuto un sogno da realizzare, con tanto amore, impegno, studio e con la collaborazione delle mie allieve e allievi l'ho sempre concretizzato.

Da 25 anni hai unito la tua vita privata e professionale con Francesco Capponi, quattro volte campione italiano di body building. C'è mai stata competizione tra voi?

Tra me e Francesco non c'è competizione, ma sostegno e gioia per i successi reciproci. In un ambiente lavorativo la competizione non è positiva, mentre è importante unire le forze per raggiungere obiettivi comuni.


Curata da Claudia Conte

Luciano e Serena Radicati. Stesso sangue, materiali diversi! Di Stefano Duranti Poccetti

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Come ogni anno Luciano Radicati espone nella Sala La Moderna di Cortona e come tutti gli anni l’artista aretino ci stupisce con qualche nuova creazione. Sono ormai anni che vedo le sue opere, ma per me è sempre molto piacevole andare alla scoperta del mondo di Radicati, in continuo rinnovamento.
Tra le opere di cui non ho mai parlato nei miei articoli precedenti rilevo un tondo. Si tratta di una costruzione polimaterica in cui all’interno sta un altro piccolo elemento della stessa forma, dove sono raffigurate quelle due teste inconfondibili che fanno ormai storicamente parte del repertorio dell’artista. Le due teste sono circondate da una serie di motivi dinamici, che quasi “svolazzano” lungo tutta la superfice dell’opera, donando a essa grande leggerezza; leggerezza ottenuta anche attraverso un uso di colori fantasia, sfumati e inconfondibili – si sa che Radicati è un Maestro del colore ed è lui stesso a crearlo attraverso tecniche personali.

Un'altra vita per le farfalle
Un’altra opera interessante è “Un’altra vita per le farfalle”: una sorta di scatola, che, da chiusa, è una bellissima indagine di forma, colore, geometrie, che danno luogo a una dimensione prospettica suggestiva e mistica; senso di prospettiva di un’opera che sembra “voglia farsi guardare dentro”, e in effetti qualcosa dentro c’è, visto che se l’apriamo incontriamo ancora quelle due famose teste, protagoniste stavolta dell’interno di questo pezzo d’arte, che presenta una particolarità importante, che dà a esso anche lo stesso titolo. Osservando attentamente infatti possiamo vedere che vi sono qua e là ali di farfalle, che contribuiscono a donare a questa “scatola” un senso straordinariamente vitale.

Sono molti altri i pezzi esposti da Radicati, di molti di essi ho già parlato in passato. Emergono ancora le bellissime e possenti figure ieratiche e dalla forte intensità spirituale, rinforzate da un uso del colore inconfondibile, alle quali le foto non sanno dare merito; emergono anche i particolari gioielli dell’artista, composti da oggetti della vita quotidiana e che prendono come le sembianze dell’oggettistica esotica ed etrusca; emergono i piccoli mosaici, incastonati tra di loro con precisione, dedizione, attenzione artigianale… 

Accanto a tutto questo, sono presenti anche le opere della figlia del pittore Serena Radicati, che di anno in anno incrementa la sua produzione di arazzi e di borse, costruiti artigianalmente dalla giovane artista, che dimostra la sua capacità di saper lavorare con tessuti diversi, riuscendo a dare luogo a lavori raffinati, di pregio e soprattutto dal segno personale. In alcune di queste opere si ravvisano soggetti già usati dal padre, come le due famose teste, presenti in un bellissimo arazzo, dove predominano i toni giallo, rosa, verde e glauco; in altri invece i soggetti sono totalmente personali e s’inseriscono perfettamente nella struttura geometrica voluta dall’artista e si sposano con i bei colori delle opere. Elemento particolare di queste creazioni è che anche la stessa cucitura fa parte della loro struttura e ne diventa il vero e proprio disegno che dà la forma ai soggetti.

La mostra non sarà aperta ancora per molto, c’è tempo fino alla fine di agosto per visitarla… e ne vale la pena!


Stefano Duranti Poccetti

"LaTraviata" di Enrico Stinchelli. Di Laura Cavallaro

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Taormina Opera Stars. Martedì 18 agosto 2015

Pare ormai che il presupposto basta che se ne parli, alla basedi molte copertine patinate di cronaca rosa e mondana si sia esteso, purtroppo, anche al mondo dell’arte. E infatti a catalizzare l’attenzione ne La Traviata di Enrico Stinchelli, all’interno della rassegna da lui diretta Taormina Opera Stars, sembra esser stato il nudo integraledel soprano Natasha Dikanovich durante il preludio. Nessuna opinione contraria alla decisione di svestire questa prima Violetta, sì perché Stinchelli ha scelto di portarne in scena non una ma quattro, evidenziando, a suo modo di vedere, perognuna alcune peculiarità del registro vocale. Ciò che ci lascia perplessi è l’eccessiva sponsorizzazione di un aspetto a nostro avviso marginale che ha messo in secondo piano altri aspetti più interessanti dello spettacolo. La scelta registica di rimarcare la caducità dell’animo umano e la corruzione della società, sufficientemente presenti nella drammaturgia dell’opera non è chiara.
Non possiamo che giustificarlo come una trovata promozionalevisto che per di più si trattava di un nudo pudico: il soprano aveva il seno coperto da un velo e una volta apparsa scoperta di schiena è stata prontamente rivestita da Annina.Sciolta la questione spinosa entriamo nel vivo dello spettacolo. Singolare la scelta di posizionare l’orchestra in fondo al palcoscenico come se si assistesse ad un concerto, giustificandola come una decisione volta a migliorare l’acustica sia dell’ascoltatore sia dei cantanti. Di fatto l’ascolto era buono, anche se visivamente l’effetto era piuttosto confusionario, basta solo dire che l’Orchestra Taormina Opera Stars era incorniciata da un sipario turchese mentre il direttore d’orchestra, Silvia Casarin Rizzolo, era coperta da un triangolo dorato, scelta che cozzava con il resto della scenografia. Per quanto riguarda i cantanti, nonostante fossero aiutati dai monitor, hanno sicuramente dovuto affrontare una grande prova tecnica che nel complesso ha funzionato anche se non siamo certi che abbiano sempresentito l’orchestra. Forse è questa la ragione per cui nel duettoInvitato a qui seguirmi, il soprano Eva Corbetta, ha anticipato ampiamente un attacco.                                                                                                                            
L’orchestra ha regalato un’esecuzione valida, anche se non sono mancati suoni striduli provenienti dal violoncello e dai violini, probabilmente a causa dell’umiditàinficiandoalcuni passaggiper esempio nell’ouverture. Il direttore Silvia Casarin Rizzolo ha tenuto conto dei tempi e delle linee del compositore, calibrando il volume dell’orchestra in modo da non sovrastare le voci dei solisti e del coro, il quale nel complesso è stato discreto,nonostante non ci siano stati particolari slanci di colore. La regia di Stinchelli ha tentato di emancipare i cantanti dalla bacchetta del direttore, riuscendoci. Una scelta che ci è molto piaciuta poiché non sono molti i registi che si preoccupano di quest’aspetto, tuttavia è mancata una direzione del coro, il quale era per lo più statico sulla scena.Molte scelte appaiono discutibili, in primis quella di optare per quattro interpreti, interrompendo a nostro avviso lo sviluppo del personaggio sia a livello interpretativo sia musicale. Era come se ad ogni ingresso in scena di una nuova Violetta si ricominciasse da capo il percorso del personaggio che nonostante la bravura delle cantanti, di fatto non ha spiccato il volo. A convincerci poco anche la scelta di portare in scena la Morte.  L’interpreteche ne vestiva i panni appariva inesperta sul palcoscenico e la sua presenza anziché creare inquietudine e scandire lo scorrere del  tempo ricordava il personaggio di un film horror di serie b. Ancora non capiamo come mai si sia ricorsi ad un noto attore come Bruno Torrisi per fargli ricoprire il ruolo di comparsa. Molti interrogativi ai quali la rappresentazione non ha dato risposta.La scenografia, firmata dalla Bottega Fantastica, era una miscellanea di oggetti senza uniformità di stili. D’altronde nessuno firma né le scene né i costumi, anche se questo non autorizza ad un pressappochismo così dilagante. Una vera catastrofe i costumi, si rintraccia poca attenzione per le epoche storiche e per i dettagli. 

Lo stile per lo più ottocentesco ha subito non poche incursioni moderne come all’inizio del secondo atto quando Alfredo appare in scena con una giacca e un pantalone cinque tasche color cachi, oppure Annina vestita con una sottoveste nera di raso e ai piedi delle ballerine o ancor peggio quando un cantante del coro entra in scena indossando una camicia e un pantalone nero mentre i suoi colleghi erano tutti in costume. Anche gli abiti di Violetta, ad eccezione del primo, un bell’abito blu in tulle, erano raffazzonati. La Silvia Casarin Rizzolo è apparsa rigida, come se non avesse ben memorizzato i movimenti di scena, disagio che si è ripercosso anche sulla performance canora. Molte imprecisioni a livello tecnico, volume scarso, dizione approssimata, forse perché la giovane cantante è ancora troppo acerba per affrontare  una prova di questo tipo. Non si può certo dire lo stesso di Carolina Varela. La sua è stata un’esecuzione superlativa, una maturità nell’espressione e una consapevolezza dello spazio che sostenuti dalla straordinaria potenza vocale le hanno permesso di essere impeccabile. Perfetta intonazione, pregni i vibrati, la sua è stata una Violetta consapevole dell’amore e del sacrificio richiesto da Giorgio Germont, interpretato da un bravissimo Piero Terranova. Il baritono ha fatto sfoggio di un ottimo timbro e di un fraseggio sicuro supportato da una personalità recitativa di spicco. Nell’emozionante aria Di Provenza il mare, il suol, Terranova ha cantato raccontando il suo personaggio con un risultato strabiliante, confermato dagli applausi scroscianti del pubblico.                                                                                                                                                                
Il tenore Young MinOhè stato un Alfredo appassionato, il suo personaggio ha spiccato per l’attenzione rivolta ai dettagli: perfetta intonazione, pronuncia e articolazione delle paroleprecisa. Una voce ricca di tessitura e ottima padronanza del palcoscenico hanno fatto di questo cantante il protagonista indiscusso della scena. Eva Corbetta, che interpreta Violettanel terzo quadro,ha posto l’accento sull’aspetto drammatico del personaggio. Il soprano ha una voce cristallina anche se alcuni acuti sono stati metallici.Pregevole anche Tea Purtseladzeultima Violetta, sempre chiara, limpida, particolarmente intonata e precisa come nel duetto Parigi, o cara, noi lasceremo.Ciò che è prevalso maggiormente nello spettacolo è stata proprio la qualità degli interpreti e infatti anche i cantanti nei ruoli secondari sono stati all’altezza del compito.Buona l’impostazione vocale di Sabrina Messinanei panni di Flora, anche se troppe controscene nel secondo atto hanno distratto lo spettatore. Ben preparati anche Angelica Meo (Annina), Alessandro D’Acrissa(Gastone ), Antonio di Matteo(Dottor Grenvil), del quale sottolineiamo sia la potenzasiala profondità vocale, Riccardo Palazzo nel duplice ruolo di Giuseppe e del commissionario, Francesco Solinas(Barone Douphol), Nazario Pantaleo Gualano(Marchese d'Obigny) e Gino Epaminonda (domestico di Flora).Una nota dolente la presenza del corpo di ballo Danza Taormina diretto dalla coreografa Alessandra Scalambrino, che è apparso disomogeneo, impreciso e spesso fuori tempo. Alla fine tanti applausi per tutti da parte dei 4000 spettatori che con entusiasmo hanno seguito lo spettacolo.


Laura Cavallaro

Cattivi e cattivissimi nel teatro Shakespeariano. Di Paolo Leone

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Roma, Fontanone Estate (via Garibaldi 30). Mercoledì 26 agosto 2015

Un reading, di per sé, è spesso attività noiosa. Sfuggono all’aggettivo quelli costruiti ed interpretati con maestrìa, che riescono a donare un senso, un significato tangibile a quel che si ascolta e a tenere alta l’attenzione del pubblico con interpretazioni convincenti, intense, appassionate. Quel che è accaduto al Fontanone la sera del 26 agosto, con Antonio Salines e i suoi cattivi nel teatro del Bardo. Lodevole la tessitura drammaturgica di Luigi Lunari che ha affidato ad un grande attore come Salines personaggi, ambientazioni storiche e testi di raccordo tra un monologo e l’altro. Davanti ad una platea gremita, si sono materializzati non solo i personaggi shakespeariani con le loro crudeltà più o meno efferate, ma l’uomo di tutti i tempi e le torve motivazioni, le smodate ambizioni di cui si nutre, da sempre.
Un invito all’immaginazione, tratto dall’Enrico V, ha aperto l’interessante viaggio con la voce di Salines che, accompagnato da musiche moderne, in bel contrasto con le epoche di ambientazione, ci ha portati negli abissi umani, da quelli dei “bastardi” come Edmund nel Re Lear, passando per la sanguinosa guerra delle due rose tra i Lancaster e gli York con i suoi protagonisti (tinteggiati di ironia i primi quanto grondanti sangue i secondi), veri personaggi – mostri, dall’Enrico VI al Riccardo III, fino alle ambiguità dell’Enrico V nel suo discorso ai soldati. L’inganno delle parole, costante nei secoli, come quelle di Menenio Agrippa nel Coriolano, o di Antonio nel Giulio Cesare,  l’arte della manipolazione dei popoli. Quanta verità, quanta attualità nei testi di Shakespeare. E ancora, forse il personaggio più malvagio nato dalla sua penna, quell’Aron del Tito Andronico, abisso senza luci. E quel Macbeth, con la compagnia nefasta della sua Lady, anch’esso prigioniero dell’interesse, costante e perverso motore nelle (basse) cose umane. L’interpretazione di Salines conferisce il calore ed il magnetismo della sua grande esperienza ad ogni monologo recitato, rendendo affascinante e lieve il viaggio proposto. Il commiato dal pubblico, con le parole di Prospero nella Tempesta, è di grande, tenera e amara poesia e lo stesso pubblico sembra non volere l’uscita di scena del suo traghettatore nelle profondità, buie, dell’uomo. Un bel successo.

Paolo Leone


Roma, Fontanone Estate (via Garibaldi 30), 26 agosto 2015

Produzione Teatro Belli presenta:

"Cattivi e cattivissimi nel teatro Shakespeariano", di Luigi Lunari. Con Antonio Salines.

I protagonisti del film "Un posto bellissimo". Foto originali di Ivan Selloni

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"Un posto bellissimo"

(Ita, drammatico, 2015) di Giorgia Cecere; con Isabella Ragonese, Alessio Boni, Piera Degli Esposti, Paolo Sassanelli, Michele Griffo, Faysal Abbaoui, Tatiana Lepore, Teresa Acerbis.

Uscita: giovedì 27 agosto 2015

"UN posto bellissimo", ultimo film della regista Giorgia Cecere, che dopo "Il primo incontro" torna a dirigere Isabella Ragonese nei panni di Lucia, una donna fragile scossa dal tradimento del marito (Alessio Boni).
Ma da questo trauma e dall'incontro con un ragazzo extracomunitario,  Lucia troverà la forza di dare una svolta definitiva alla sua vita fino ad allora sospesa in un perenne immobilismo.


Le foto dei protagonisti durante la presentazione alla Casa del cinema di Roma.














“Piccolo e squallido carillon metropolitano”. Un gioiello brilla al Fontanone. Di Paolo Leone

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Roma, Fontanone Estate (Via Garibaldi 30). Sabato 29 agosto 2015

La polvere non si vedeva, né il tanfo della piccola casa, soffocante microcosmo di sentimenti e dolori repressi tra tre fratelli, arrivava alle nostre narici. Ma lo spettacolo allestito nel piccolo giardino del Fontanone il 29 agosto, quel carillon di umanità richiamato dal titolo, è di così rara potenza e bellezza, tali da portare lo spettatore all’interno di vissuti straziati, a cui non si può rimanere indifferenti. Tre personaggi, tre solitudini diverse e legate dal filo rosso della famiglia. Macerie di vite vissute a metà, tra senso del dovere e vigliaccheria, tra diversità non accettate e vergogna, tra amore e paura. Microcosmi che non riescono ad incontrarsi, nonostante il legame di sangue. Ognuno chiuso nel suo acquario, come il pesciolino Fefè della storia, tra le pareti trasparenti delle proprie fobìe e convinzioni. Si gira, come un carillon, senza toccarsi mai.
E’ solo sul palco che accade questo, o il bellissimo testo di Davide Sacco e le interpretazioni straordinarie dei tre attori in scena (Eva Sabelli, Orazio Cerino e Giovanni Merano) riescono a far male a chi assiste, anche noi nelle nostre ampolle di sicurezza? Il grande merito di questo spettacolo è forse proprio questo. Con atmosfere che a tratti ricordano il teatro di Ruccello, con quelle sensazioni claustrofobiche, i tre attori in scena disintegrano la quarta parete, sin dalla prima scena, scenograficamente bellissima, in cui danno le spalle al pubblico, immobili, (e con il conforto di una splendida vista su Roma). Tre fratelli rimasti soli, con un bagaglio di degrado e disagio. Un piccolo mondo, non antico, dove non c’è spazio per gli sconfitti, dove anche gli sguardi uccidono, in cui il diverso (a qualsiasi titolo) è ai margini, dove nell’illusione di potersi sottrarre a tutto quel peso, si tenta di tracciare una linea divisoria tra bene e male, tra bello e brutto. Ma è solo un gioco, la realtà è diversa, sfuggevole è la verità, se mai ce ne sia una. L’unica certezza è che siamo lontani, soli, e tutti speriamo in un piccolo, squallido miracolo che non arriva mai.
Difficile trovare un difetto in questa pièce. Bello il testo, bella la regia, le luci, i movimenti in scena, i costumi. Forse il testo, in qualche frangente, risulta eccessivamente verboso, sottraendo veridicità alle interpretazioni dei tre protagonisti, che rimangono straordinariamente intense e coinvolgenti. Nel complesso, questo piccolo carillon metropolitano non è affatto squallido, anzi brilla come un gioiello. Il nostro Paese è ricco di giovani validi e preparati e i direttori dei nostri teatri dovrebbero avere più coraggio nel proporli al pubblico. La qualità, alla lunga, paga. E in questo spettacolo, di qualità, ce n’è davvero tanta.

Paolo Leone


Avamposto Teatro presenta: Piccolo e squallido carillon metropolitano, di Davide Sacco. Con: Orazio Cerino, Giovanni Merano ed Eva Sabelli. Regia di Davide Sacco.
Premio miglior attore a Orazio Cerino  - La corte della formica, Teatro Bellini 2013
Premio speciale migliore scenografia a Luigi Sacco – La corte della formica, Teatro Bellini 2013

Scene di Luigi Sacco; Costumi di Silvia Tagliaferri; Luci di Francesco Barbera; Organizzazione di Ilaria Ceci; Addetto stampa: Marta Scandorza.

"Il romanzo di Castel Porziano". Tre giorni di pace, amore e poesia. Foto Originali di Ivan Selloni

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Nel Giugno 1979 alla spiaggia di Castel Porziano centinaia di giovani accorrono per sentire recitare poesie da poeti laureati o semplici scrittori di versi.
Nasce così "Poetitaly", che da uno spontaneo raduno di giovani appassionati di poesia diventa:
"un format pensato come organismo “nomade” capace di portare la vitalità e trasversalità della poesia italiana contemporanea a contatto con molteplici luoghi della penisola, riservando una particolare attenzione alle diverse e variegate “periferie” d’Italia".
Un progetto portato avanti da anni da Simone Carella, organizzatore dell'evento di Castel Porziano, insieme ad Andrea Cortellessa, Gilda Policastro e Lidia dia Rivello.
Da quell'evento ora è nato un libro: "Il romanzo di Castel Porziano", edito da Stampa Alternativa di Marcello Baraghini, che ne registra tutte le voci e le testimonianze dei protagonisti regalando così al lettore una testimonianza più che mai viva e autentica dello spirito che animò la spiaggia di Castel Porziano.
Le iniziative di Poetitaly non finiscono qui:
il 6 ottobre al teatro India ci sarà la serata del premio di poesia Elio Pagliarani, dove verrà presentata l'ultima opera del poeta Nanni Balistrini "La tempesta Perfetta" e il 26 ottobre gran finale, con la premiazione dei vincitori al teatro Argentina.














Al via la quarta edizione del Master di I° livello in Drammaturgia e Sceneggiatura dell’ Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico

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L´Accademia Nazionale d´Arte Drammatica "Silvio d´Amico" presenta, per l'anno accademico 2015-2016, la IV edizione del Master di primo livello in Drammaturgia e Sceneggiatura, istituito dal MIUR.
Sono banditesei borse di studio, di cui una di totale gratuità, e una seconda a copertura del 50 % della quota d’iscrizione che saranno assegnate a rimborso, al termine del Master, con criterio meritocratico e di reddito in base all’indicatore ISEE.
Il Master, rivolto a tutti i laureati di primo e secondo livello e laurea magistrale, grazie alla peculiarità degli insegnamenti previsti ed all'alta professionalità dei docenti, rappresenta un percorso di Alta Specializzazione per chiunque voglia entrare  in contatto con il mondo della scrittura per il teatro, il cinema, la radio, la televisione e il fumetto.

Il corso  si svolge a Roma (zona Pinciano/Parioli) e rilascia un Diploma Accademico di Master di Primo Livello, con relativo riconoscimento di 60 crediti formativi. L'intero progetto formativo, comprende la didattica frontale, laboratori e seminari, studio individuale dell'allievo e un tirocinio finale con un monte complessivo di 1.500 ore.
Le lezioni si svolgono prevalentemente dal giovedì al sabatoper permettere di partecipare ai corsi anche a studenti lavoratori.
La data prevista per l'inizio delle lezioni è il 19 novembre 2015e la didattica terminerà a giugno 2016.
Tra i docenti, solo per citarne alcuni: il direttore dell'Accademia Lorenzo Salveti, lo sceneggiatore e drammaturgo Ugo Chiti (Il racconto dei racconti, Reality, Gomorra, La Pecora Nera), lo sceneggiatore Andrea Purgatori (Il muro di gomma, Vallanzasca, L'industriale), i registi cinematografici Giuseppe Piccioni, Sergio Rubini e Francesca Archibugi,  la regista tv Cinzia ThTorrini (Elisa di Rivombrosa), la montatrice Esmeralda Calabria (Romanzo Criminale,Tutta la vita davanti, HabemusPapam), i critici Gianfranco Capitta (Il Manifesto, Radio 3, autore dei maggiori studi sul teatro di Ronconi), Rodolfo DiGiammarco (La Repubblica, Il Garofano Verde, Officina Teatrale), Steve Della Casa (Hollywood Party Radio 3, La Stampa, Roma Fiction Fest, Brescello Film Festival), i drammaturghi Edoardo Erba, Umberto Marino e Sergio Pierattini (Che strano chiamarsi Federico, La Trattativa) e molti altri importanti autori del cinema e teatro italiano, nonché docenti universitari, giornalisti ed esperti del settore.
Tra le aziende partner per i tirocini di stage curriculari previsti a fine didattica ci sono alcune tra le realtà nazionali e internazionali più rilevanti del settore: RAI – Radio Televisione Italiana, Indiana Production, Blue Film, Inthelfilm, Wildside, Wider Film, Teatro San Carlo di Napoli, Teatro Massimo di Palermo, Teatro Biondo di Palermo,ÉcoleSupérieure d'Art Dramatique de Strasbourg, Académie Des Art DuSpectacle de Versailles, Hystrio, PAV- Accademia degli Artefatti, Zètema, Meetmuseum, Ciak, Panini Comics e molti altri.
Inoltre è prevista la possibilità per gli allievi meritevoli di effettuare il proprio tirocinio all’estero all’interno del Programma Erasmus Plus, a cui l’Accademia aderisce, all’interno di diverse realtà teatrali e cinematografiche europee.

Infine, a conclusione della didattica frontale, è programmato un ProjectWork, in collaborazione coi corsi di Recitazione e Regia dell’Istituzione, con la realizzazione di testi drammaturgici o filmici scritti dagli stessi allievi.

Il Master in Drammaturgia e Sceneggiatura offre una possibilità di formazione che vuole essere sempre più professione.

Il termine per presentare la domanda di ammissione è entro e non oltremercoledì 30 settembre  2015. Le candidature dovranno essere inviate secondo le modalità previste dal Bando Pubblico disponibile sul sito ufficiale del Master: www.mastersceneggiatura.it .

Anna e Yusef, un amore senza confini. Foto originali di Ivan Selloni

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Una vibrante storia d'amore che sullo sfondo della primavera araba affronta il tema dell'integrazione e della diversità culturale.
Una storia nata da un'idea della produttrice Paola Lucisano riguardo un episodio di cronaca realmente accaduto dello sbarco, insieme a profughi magrebini e africani, di una ragazza bionda con sua figlia durante la primavera araba.
‹‹ E' una miniserie originale che raccontando l'amore tra una giovane italiana e un giovane arabo fa vivere la difficoltà di provenire da due mondi diversi - afferma la regista Cinzia TH Torrini - Una coppia che dovrà affrontare e superare pregiudizi cercando di integrarsi senza perdere se stessi e i loro valori ››.
Miniserie in due puntate in onda in prima serata su Rai1 lunedì 7 e martedì 8 settembre, con Vanessa Incontrada, Adel Bencherif e con la partecipazione di Giole Dix.

Regia: Cinzia TH Torrini

Produzione: Rai Fiction - IFF - Italian International Film









“Un attimo prima”. Bellezza e follia. Di Paolo Leone

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Roma, Fontanone Estate. Venerdì 4 settembre 2015

Gli scenari incantevoli, la linea dell’orizzonte segnata dalle cime, le valli, i ruscelli, il verde dei prati, la vita semplice di gente semplice alle prese con l’assurdità della guerra. Guerra di trincea, la prima guerra mondiale. “Non è vivere quello”, anche se fosse giusto. Se lo ripete la ragazza, una delle “portatrice carniche” che insieme ai vettovagliamenti per i soldati in quota, nella sua pesante gerla trasporta l’amore per la vita, per quelle terre incantate, la luce nei suoi occhi e la speranza, chissà, di un amore che fa capolino tra le granate e i colpi dei cecchini. Per una sera, nel chiuso del Teatro Belli (rifugio estivo in caso di maltempo della bellissima rassegna del Fontanone Estate), la pia illusione della frescura montana ha fatto breccia in una Roma ancora torrida. Grazie al bel testo di Paolo Logli, interpretato da una sorprendente Claudia Campagnola nelle vesti della portatrice, con l’ausilio prezioso e suggestivo di Rossella Montanari ai flauti e alle percussioni e con le belle musiche di Enrico Blatti, abbiamo percorso i sentieri montani ancor prima della luce dell’alba in direzione delle trincee, dove gli uomini della valle furono inviati.
Una ragazza dalla disarmante semplicità, con i suoi essenziali pensieri e giudizi, scarni ma giusti. Altrochè se giusti. Il suo racconto, tra preghiere, ricordi e speranze, lega il fondovalle all’inferno del fronte, e si snoda sui sentieri percorsi ogni volta dalle donne come lei. 

Un filo di pensiero affidato alle capacità espressive della Campagnola, perfettamente in parte col suo viso di brava ragazza, col suo “passo” adeguato alla montagna, ai ritmi regolari della vita alpina. Ma quanto amore in quel filo logico, quanta voglia di vita, quanto rispetto per la bellezza della natura e quanta paura di non poterne più godere. La follia dell’uomo che non si ferma nemmeno davanti ad un cielo che mozza il fiato, nemmeno davanti all’immensità di un orizzonte segnato dalle cime millenarie, a suggerirci la nostra pochezza e il nostro passaggio veloce, trascurabile, nello scenario della vita.
Il testo di Logli, tra i diversi  messi in scena e visti in occasione della commemorazione della prima guerra mondiale, ha il pregio di farsi poesia, pur tra il sibilo sinistro del mortaio e lo schiocco del moschetto. L’orrore lo sfiora, ne mostra le ombre. Ma ad emergere è la concreta poesia di una ragazza montanara, abituata alla fatica, ma illuminata dal desiderio d’amore. Per la sua terra, per le montagne, per i suoi prati verdi e rigogliosi. Per un uomo che la spia mentre si lava, lassù in trincea, e che osa la “sfrontatezza” di lanciarle un bacio con la mano, un attimo prima... Un monologo intenso, a tratti commovente, che lascia una sensazione di inevitabile amarezza e qualche riflessione in più.

Paolo Leone


Compagnia della Luna presenta:

Un attimo prima, di Paolo Logli. Con Claudia Campagnola. Rossella Montanari ai flauti e alle percussioni. Musiche di Enrico Blatti. Regia di Norma Martelli.

Outdoor camp here, now. Dall' 1 al 15 settembre. Ex caserma Guido Reni, Roma. Foto Originali di Ivan Selloni

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Outdoor Camp è un progetto di Nufactory che anticipa la sesta edizione dell'Outdoor Festival, sostenuto da Roma Capitale e inserito nella programmazione di Estate Romana 2015. Nufactory quest'anno ha deciso di arricchire l'Outdoor Festival (dal 2 al 31 ottobre) con una serie di eventi gratuiti e aperti a tutti, come conferenze, workshop, lezioni aperte, tutti tenuti da street-artist come Alice Pasquini, RubKendy, Uno, Penique Productions, Tilt, Martin Whatson… con lo scopo di avvicinare semplici cittadini ai processi di trasformazione urbana confrontandosi con artisti che da anni stanno contribuendo a tali processi.
é possibile prenotarsi sul sito www.out-door.it fino al 15 settembre.

Inoltre, per gli amanti della storia dell'architettura urbana,  è stata allestita la mostra  "Passato e futuro", che racconta la storia della caserma Guido Reni attraverso fotografie e video a cura degli artisti Kanaka Project; mentre, per gli amanti della musica e della videoarte, si potrà assistere al djset di Clash, che unisce istallazioni sonore e video.











Luca Ammirati. Una vita per la cultura e la letteratura. Intervista di Stefano Duranti Poccetti

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Ciao Luca, innanzitutto, parlami un po’ di te e della tua carriera letteraria. A soli 32 anni sei già stato insignito d’importanti riconoscimenti, puoi parlarmene?

Il mio esordio è avvenuto nel settembre 2012 con il romanzo “I discendenti di Dante”, un thriller di carattere letterario che strizza l’occhio al sommo poeta e alla “Divina Commedia” pubblicato prima, ci tengo a precisarlo, che Dan Brown uscisse con il suo “Inferno”. Questo è stato il punto di partenza che mi è valso due premi nazionali.  Da allora fino ad oggi ho collezionato nove riconoscimenti letterari in ogni campo della scrittura: romanzi, storie brevi e componimenti in versi. Tra i più prestigiosi, horicevuto a Roma presso la sede della Commissione Europea in Italia il “Premio Nanà: Nuovi scrittori per l’Europa” per la narrativa, mentre recentemente, in una selezione di oltre 5000 autori in concorso, sono risultato fra i 150 inseriti nell’Enciclopedia della Poesia Contemporanea pubblicata dalla Fondazione Mario Luzi nell’ambito dell’omonimo Premio Internazionale, il più importante in Italia dedicato alla poesia con l’Alto Patrocinio del Presidente della Repubblica e del Senato.


Sei inoltre assessore alla Cultura del comune di Perinaldo, da dove nasce la tua passione politica?

Più che di passione politica vera e propria, parlerei di passione per Perinaldo, il piccolo borgo medievale dell’entroterra del Ponente Ligure noto in tutto il mondo per aver dato i natali all’illustre astronomo Gian Domenico Cassini. Io sono nativo di Sanremo, ma Perinaldo è il paese di cui era originaria mia nonna materna e che pertanto ho sempre frequentato durante l’estate fin dall’infanzia. Inoltre, nel 2013 e nel 2014, ho avuto l’onore di essere invitato a presentare i miei libri presso la Sala Consiliare del Comune. Quando il sindaco uscente Francesco Guglielmi, poi riconfermato, mi ha proposto di candidarmi nella sua squadra per occuparmi degli appuntamenti culturali e della promozione del borgo ho accettato con vivo entusiasmo, anche perché Perinaldo vanta assolute eccellenze e inarrivabili bellezze a dispetto delle pur ridotte dimensioni.  Le urne hanno decretato la mia elezione e successivamente l’investitura della carica di Assessore, così dal 1° giugno è iniziata questa nuova ed appassionante avventura. Siamo reduci da un’estate ricchissima di eventi e di successi, con ottimi risultati anche dal punto di vista della comunicazione.

Quanto è difficile oggi fare politica culturale, in un Paese dove non si crede più nella politica e neanche nella cultura?

È estremamente difficile, ma non per questo bisogna lasciarsi prendere dallo sconforto e gettare la spugna. L’Italia ha tanto da imparare dagli altri Paesi sotto l’aspetto delle politiche culturali, e in questo senso negli ultimi anni sono purtroppo mancati lungimiranza e acume da parte di chi ci governa, dati i continui e sanguinosi tagli al settore. È altrettanto vero, però, che anche i cittadini italiani dovrebbero fare lo sforzo di accostarsi con maggior partecipazione agli appuntamenti culturali proposti dalle nostre realtà: avrebbero la possibilità di scoprire, e soprattutto di non perdersi, delle vere e proprie “chicche” e di contribuire ad evitare che la nostra civiltà vada sempre più allo sbando.

Il comune di Perinaldo si presta a eventi culturali?

Perinaldo ha sempre avuto una spiccata vocazione alla cultura, vuoi per essere “il borgo delle stelle” e la patria di Gian Domenico Cassini, vuoi per l’aura di internazionalità portata dalla vicinanza geografica alla Francia e dai numerosissimi visitatori nordeuropei che la frequentano e che hanno deciso di acquistarvi una casa per goderne le bellezze, il clima, il paesaggio affascinante e uno dei territori che vanta la più vasta biodiversità al mondo. E poi ci sono le svariate eccellenze, come il carciofo di Perinaldo, che fu importato nientemeno che da Napoleone Bonaparte ed oggi è un presidio Slow Food, e come l’Osservatorio Astronomico Comunale “G.D. Cassini” che è fonte di richiamo e risorsa invidiabile a livello internazionale. Perinaldo, in più, ha recentemente ricevuto la Bandiera Arancione, il marchio di qualità rilasciato dal Touring Club Italiano ai comuni dell’entroterra che si distinguono per un’offerta di eccellenza e un’accoglienza di qualità. Il panorama dell’offerta culturale del borgo è sempre stato estremamente nutrito e variegato. Oltre ai nostri musei, dedicati al Cassini e a Napoleone con reperti e documenti storici unici al mondo, possiamo contare su appuntamenti musicali di altissimo profilo: il “Perinaldo Festival”, manifestazione in cui più di ottanta giovani e insegnanti di conservatorio allietano le vie e le piazze del centro storico con esibizione ogni sera di grandissimi nomi e artisti, le rassegne concertistiche internazionali “Agati in concerto” e “Al lume delle stelle”, le giornate del “Troubair Clair” che vedono protagonisti cantanti, coristi e musicisti di fama internazionale. A partire da quest’estate abbiamo inaugurato la Rassegna Letteraria “Libri e scrittori sotto le stelle” che ha ospitato personalità di prestigio come un ex Preside della Facoltà di Psicologia dell’Università di Torino e un Finalista Premio Bancarella, e ci siamo anche regalati un piccolo assaggio di teatro. Infine, naturalmente, non trascuriamo il lato gastronomico grazie ad imperdibili appuntamenti quali la Rassegna Gastronomica del Carciofo di Perinaldo e la Grande Castagnata del mese di ottobre.

Ritornando alla letteratura, hai pubblicato un raccolta di racconti intitolata “L’Espresso Letterario”. Puoi parlarmi della sua gestazione, della sua pubblicazione e dei suoi contenuti?

Genesi e storia dell’opera sono un qualcosa di particolare: “L’Espresso Letterario”, infatti, nasce nel 2013 come settimanale rubrica di racconti sul web. L’idea alla base del progetto è stata quella di provare a riportare in auge questo genere letterario che coniuga brevità, essenzialità e proprietà di sintesi con la capacità di costruire personaggi e immagini immediati. Attuando il tutto al tempo moderno. Il che, ovviamente, significa Internet. E così, su alcune testate online della provincia di Imperia, ho proposto ogni settimana una storia breve sempre differente per argomento trattato, stile e registro linguistico. Una sfida immane quanto stimolante, un esperimento unico ed innovativo in Italia in cui il web si concilia con la carta. Ho tenuto la rubrica per due stagioni, riscontrando gradimento e conquistando via via un sempre più vasto pubblico di lettori internauti. In ragione di ciò “L’Espresso Letterario” ha suscitato l’interesse di un editore ed è diventato un volume cartaceo presentato in anteprima al Salone Internazionale del Libro di Torino e successivamente presso le altre principali Fiere nazionali dell’Editoria. L’antologia cartacea include le storie più belle e amate dal pubblico con l’aggiunta esclusiva di alcuni inediti. La particolarità di questo libro risiede nel fatto che, chi lo legge, trova non una ma ben 18 storie. Trova, in buona sostanza, un piccolo universo fatto di personaggi ed immagini a metà tra la dimensione lirica e la realtà, una fine indagine tra le avventure e le passioni dell’animo umano con alcuni finali davvero incisivi e spiazzanti.

Il libro è stato poi trasformato in uno spettacolo teatrale, detto, non a caso, “L’Espresso Letterario va a Teatro”. Come è stato vedere il tuo testo prendere vita? Ne sei stato soddisfatto?

Ne sono stato ampiamente soddisfatto. La compagnia teatrale che se ne è occupata, l’Accademia delle Muse, ha fatto un lavoro incredibile e le prime recensioni, cosa che non guasta, sono state molto positive. Penso che, per uno scrittore, vedere un proprio testo portato in scena sia un privilegio inenarrabile. Un sogno nel cassetto che per me si è realizzato e che andrà a regalarmi emozioni forti ad ogni nuova replica dello spettacolo.

Quali sono i tuoi futuri progetti da assessore e da letterato?

In qualità di Assessore, c’è l’ambizioso e non facile obiettivo di rendere Perinaldo sempre più l’eccellenza culturale che rappresenta e che ha tutte le carte in regola per rappresentare. E per ottenere ciò la volontà è quella di insistere sulla promozione e sulla diffusione della cultura, intesa  nella sua ampiezza di forme e versatilità: letteratura, musica, arte, teatro e cinema, ma anche eno-gastronomia, sport all’aria aperta, natura, promozione del territorio e delle sue tipicità. Una cultura tesa, in questo modo, a diventare una componente e un biglietto da visita fondamentale per sviluppare il discorso del coinvolgimento turistico. Per quanto concerne la scrittura, beh, c’è sempre qualcosa che bolle in pentola. Per la verità anche qualcosa di grosso, però non aggiungo altro per scaramanzia. Sicuramente, l’auspicio personale è quello di poter continuare a lavorare alle mie opere con lo stesso intatto entusiasmo e che queste continuino a compiere il loro percorso presso la critica e il pubblico.


Curata da Stefano Duranti Poccetti

INVASIONI (DAL) FUTURO * 002. Un’isola futuribile nelle viscere di Roma. Di Paolo Leone

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Roma, Auditorium di Mecenate (Largo Leopardi 22). Dall’8 al 12 settembre 2015

Le notti romane sono sorprendenti, come la città che oscurano. Nel bene e nel male, le occasioni sono innumerevoli, gli spettacoli fervono anche in un periodo come questo, a ridosso dell’imminente nuova stagione teatrale. Eventi particolari, che scopri magari per un tam tam più o meno sotterraneo, fioriscono e permettono di scoprire siti archeologici di straordinario interesse da sempre sotto il naso, ma ai quali quasi nessuno fa caso, ognuno travolto dai ritmi e dai rumori della metropoli. E’ il caso di IF – Invasioni (dal) Futuro*002, giunta alla seconda edizione, come suggerisce il titolo. Cinque serate, dall’8 al 12 settembre, fuori dall’ordinario, una lunga performance/installazione, tra letture, musica e teatro all’interno del meraviglioso e sotterraneo Ninfeo di Mecenate, poco al di sotto della trafficatissima via Merulana. Una graditissima esperienza. Siamo entrati in altri mondi, non solo grazie al luogo, ma soprattutto alle suggestive atmosfere create da un’equipe di artisti e di tecnici preparatissimi.
 

Atmosfere lunari, recitava il comunicato, e posso ben dire che mai termine fu più indovinato! Siamo stati avvolti da immagini mozzafiato, inquietanti, algide, da musiche (anche dal vivo con le percussioni di Gianluca Ruggeri e col sax e il clarinetto di Gabriele Coen)  adeguate al contesto, che hanno fatto da scenario e contorno ai racconti fantascentifici scelti con oculatezza e  interpretati con maestrìa da 6 giovani attori. Canti della Mutazione, nella serata del 9, è stato un viaggio siderale nello spazio e in un  tempo indefinito. Voci e immagini, racconti e sensazioni, ma anche tanta riflessione sulla condizione dell’uomo attuale. Il racconto fantascentifico ha sempre un appiglio ad aspetti della realtà che viviamo. Ne coglie le fallacità, i controsensi, le verità nascoste o, se preferite, presenti in altre dimensioni. E allora diventa profetizzante, ipotizza scenari che partono dal qui e ora per giungere alle vette della fantasia, dell’improbabile ma possibile. I prossimi inquilini, di Arthur Clarke, ipotizza forme di intelligenza estrema in piccoli animali come le termiti, in uno scenario di pericolosi esperimenti nucleari. Il magazzino dei mondi, di Robert Sheckley, affonda la lama nella necessità disperata e  malinconica di normalità in un uomo che vive in un “day after” desolante. Nel racconto più toccante, Dei mortali, di Orson Scott Card, si immagina un mondo in cui gli alieni, padroni della scena, adorano gli esseri umani per la loro finitezza, per quella anomalia che è la morte. Esseri infiniti che ne adorano altri, stramba deviazione nella storia dell’evoluzione, fortunati per aver “conquistato” la libertà della fine esistenza. Noi, esseri “a termine”, creatori di bellezza e piacere proprio in virtù di questa consapevolezza, adorati da chi è “condannato” all’infinito e ad una ripetitività alienante, sempre uguale a se stessa. Davvero un reading appassionante e recitato con grande capacità di coinvolgimento. 

Oppure rapidi scenari di guerra, come in Sentinella, di Fredric Brown, tra “noi  alieni” e altre creature…a volte è solo il punto di vista che cambia le cose. Con La formica elettrica, di Philip K. Dick, la vita programmata e de-programmabile di un automa che scopre la realtà artefatta, virtuale e decide di modificarla, con esiti disastrosi. O forse necessari. Una serata sorprendente, particolare, di grande ma raffinato impatto visivo ed emozionale. Gli stessi interpreti, nella loro studiata disposizione di fronte al pubblico, con pochi ma aggraziati movimenti riescono a creare un’atmosfera elegante e quasi sospesa, eterea. Un evento veramente speciale. Le serate proseguiranno fino al 12 settembre, quando a chiudere la seconda edizione sarà Vinicio Marchioni. Il Corriere sarà presente anche l’11, quando andrà in scena il divertente Guida galattica per gli autostoppisti, di Douglas Adams. 

Paolo Leone



IF – Invasioni (dal) Futuro*002 – storie, immagini e suoni dalla fantascienza.
Un progetto di Lacasadargilla/Lisa Ferlazzo Natoli, Alessandro Ferroni, Alice Palazzi, Maddalena Parise, Simona Patti, con la collaborazione di Roberta Zanardo. A cura di Lisa Ferlazzo Natoli. Progetto video Luca Brinchi e Daniele Spanò con la collaborazione di Maddalena Parise

Canti della Mutazione, con Simone Castano, Tania Garribba, Arianna Gaudio, Fortunato Leccese, Alice Palazzi, Roberta Zanardo. Direzione musicale e percussioni Gianluca Ruggeri; Clarinetto e sax Gabriele Coen.

Si ringrazia l’Ufficio Stampa nella persona di Amelia Realino/Teatro di Roma

Intervista a Veronica Maya. Dalle punte alla tv. “Posso guardarmi allo specchio e sentirmi felice”. Di Stefano Duranti Poccetti

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Veronica Maya, danzatrice, attrice, cantante, conduttrice… è un po’ tutto questa donna elegante e in dolce attesa per la sua terza volta; donna che ritrova le sue radici del suo grande amore per i linguaggi artistici nella compagnia di cabaret musicale gestita in passato da sua madre e che ha trovato forza e determinatezza nella disciplina della danza, disciplina che, unita al suo carattere coraggioso e versatile, l’ha portata a cimentarsi sempre con grande impegno e soddisfazione in ambiti molto diversi tra loro, ma uniti da un unico denominatore: l’Arte.

Ciao Veronica, quello che mi colpisce della tua carriera è il tuo percorso variegato. Tutto inizia dalla danza, quanto è stata importante per te questa “scuola di vita”?

Per il mio percorso la danza è stata fondamentale, una “scuola di vita”, come dici tu; una scuola che mi ha fortificato e che mi ha reso adeguata per tutte le avventure lavorative da me intraprese successivamente. Avventure che sono state veramente tante, arrivate con un po’ di fortuna, ma anche grazie a una buona dose di coraggio.

E anche grazie a una buona dose di versatilità…

Certo, la versatilità è una qualità che fa parte del mio carattere e che ho affinato ancora di più con il tempo. Poi, sai, io amo l’Arte in tutte le sue forme e quindi è chiaro che ho sempre accettato sfide nuove.

Da dove viene questa passione per l’Arte? Forse essere nata a Parigi, per antonomasia la città del Teatro, ti ha stimolata in questo senso?

Tra l’altro sono nata il 14 di luglio, proprio nel celebre giorno della presa della Bastiglia e, certo, devo ammettere che il mio spirito infatti è un po’ ribelle. L’amore per l’Arte mi è stato trasmesso soprattutto dalla famiglia, mia madre infatti aveva una compagnia di cabaret musicale; una compagnia molto poliedrica, dove si svariava dalla danza alla musica, dall’avanspettacolo alla rivista; una compagnia dalla quale veniva rappresentato un repertorio cosmopolita, che andava da quello napoletano a quelli francese o tedesco… Insomma, ho avuto molti stimoli fin da quando ero piccola e questo di certo mi ha aiutata.

Poi approdi alla tv, come è avvenuto questo passaggio?

È stato un passaggio a dire il vero fortuito ed è avvenuto quando vinsi un provino per Rai Sport. Fu una gran bella soddisfazione per me, anche perché ero completamente a digiuno di mondo calcistico, ma, visto che fortunatamente sono volenterosa e secchiona, mi studiai attentamente a memoria una serie di informazioni che mi sarebbero state utili e… mi presero! Dopo pochi anni, nel 2004, ero già agli Europei di Lisbona coi grandi Pizzul e Paris. Mi trovavo catapultata in un mondo nuovo e con tanta voglia di fare.  

In realtà la tua carriera televisiva era già iniziata, se non sbaglio, con TeleRoma56.

È vero, prima della Rai ho lavorato lì, dividendo quella esperienza con quella teatrale, visto che ero soubrette in “Bentornato Avanspettacolo” di Dino Verde. Lavoravo tutta la settimana nella compagnia, meno che il lunedì, giorno che dedicai proprio a TeleRoma56, dove facevo la valletta in un programma di sport.

Come è stato invece questo passaggio dal punto di vista umano? Mi configuro un mondo dello spettacolo dal vivo più pulito e meritocratico, mentre uno televisivo più marcio e corrotto.

Beh, queste sono tue opinioni, ma non la penso come te. Per quanto mi riguarda credo che siano indispensabili talento, maturità, capacità, esperienza in entrambe le situazioni. Ogni tappa ti rende più forte per affrontare l’altra e ti dà un bagaglio in più da sfoderare al momento giusto. Per quanto mi riguarda ho sempre cercato di portare le mie abilità anche nei programmi televisivi. A Uno Mattina, per esempio, abbiamo spesso e volentieri parlato di danza; a Dolce Casa abbiamo addirittura creato una sitcom! Allo stesso Zecchino d’Oro ho cantato in eurovisione - come accade a teatro, anche in televisione ti confronti con un vasto pubblico, sapendo che può accadere che non è detto che tu piaccia a tutti. Per quanto mi riguarda ho sempre fatto tutto con umiltà, serietà, senza mai corrompermi… posso guardarmi allo specchio e sentirmi felice.

Ti manca la danza?

È stato un mio grande amore e mi ha dato tante soddisfazioni, ma non vorrei riprenderla a livello professionistico, non potrei. Ultimamente poi non è stato facile praticarla per le mie gravidanze piuttosto ravvicinate, però, certo, un sano allenamento per sentirsi al meglio fisicamente e mentalmente mi piacerebbe riprenderlo.

Che cosa stai facendo adesso?

Ho chiuso a gennaio i miei 10 anni in Rai e ho condotto da poco un talent su Agon Channel, che si chiamava “Chance”, una bella esperienza. Inoltre mi sono fatta una vacanza finalmente! Ultimamente sono in trattativa per fare delle cose in Rai e non solo.

Cosa desiderebbe Veronica?

Mi piacerebbe essere di nuovo allo Zecchino d’Oro, che sarebbe il mio decimo, dove sarei felice anche di condividere la mia terza gravidanza con il pubblico, cosa che ho già fatto piacevolmente anche con le altre.  


Curata da Stefano Duranti Poccetti

"Molto rumore per nulla”. Shakespeare al Globe: un teatro che parla al pubblico. Di Emma Di Lorenzo

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Globe Theatre, Roma. Dal 5 al 30 Agosto 2015

"Molto rumore per nulla” di William Shakespeare, regia di Loredana Scaramella, è il secondo spettacolo andato in scena per la stagione 2015 del Teatro Globe di Roma, diretto da Gigi Proietti. Sul palcoscenico un travolgente caos ordinato e la naturalezza del 'gioco' verbale e fisico che caratterizza questa commedia, ambientata a Messina e scritta da William Shakespeare tra l'estate 1598 e l'inverno del 1599.
Entrare al Globe non equivale a varcare la soglia di un teatro qualsiasi. Lo spazio di Roma rappresenta l'esatta riproduzione dell'omonima struttura elisabettiana a Londra. Già all'ingresso, l'odore del legno invade le narici, le assi rumoreggiano sotto il peso degli spettatori e i fortunati che hanno scelto di vivere un'esperienza 'd'epoca' siedono a terra davanti al palco. La struttura è circolare e, per sua stessa natura, democratica, un po' come la tavola di Artù e dei suoi cavalieri, sia nella forma che negli intenti dello spettacolo stesso. Colpisce, a tal proposito, l'assenza totale della quarta parete, sostenuta dalla rinuncia al sipario, e, nel contempo, l'utilizzo di stratagemmi come botole, balconi, corde e scene, più volte installate sul momento dagli attori stessi, presi da un continuo fluire di parole, idee e movimenti tra i quali non trova mai spazio l'errore. Ogni attore è al posto giusto, una squadra affiatata che coinvolge il pubblico per oltre tre ore di rappresentazione, che diverte e intrattiene dimostrando, con un esempio pratico ed evidente, quanto Shakespeare sia ancora nostro contemporaneo e che il nome e le opere del Bardo non debbano necessariamente essere sinonimo di 'vetustà', come qualche imberbe studente potrebbe pensare, ma piuttosto dell'eternità di chi, con le parole, ha saputo dipingere tutta la vasta gamma dei sentimenti umani. Le vicende di "Molto rumore per nulla" si muovono su due piani e altrettanti plot principali, con una piccola parentesi di commedia più immediata e oltremodo esilarante che vede protagoniste le guardie, e registri linguistici (un terzo in versi e due terzi in prosa). Lo spettacolo ripropone tutti gli elementi testuali e musicali dell'originale e, arricchito da una grande sintonia manifesta tra gli attori in scena, porta fino in fondo l'idea di un teatro ideato per lo spettatore e rivolto al pubblico, mantenendo alta l'attenzione anche nell'intervallo tra gli atti, con musica e intrattenimento, trasformandolo in una festa. Una storia costellata di giochi di parole e di intrighi da svelare, "Molto rumore per nulla" appartiene al gruppo delle commedie romantiche di Shakespeare e racconta le vicende del fido Claudio (Fausto Cabra), innamorato della bella Ero (Mimosa Campironi), alla cui felicità si frappone l'intrigo di Don Juan (Matteo Milani), infido fratello di Don Pedro (Federigo Ceci) e le gustose schermaglie verbali tra Beatrice e Benedetto, interpretati da Barbara Moselli e Mauro Santopietro, assieme alle guardie e al giudice (Federico Tolardo, Jacopo Crovella, Roberto Mantovani e Carlo Ragone) oggetto dei più fragorosi applausi del pubblico sul finale. Il giudice, appunto, è il deus ex machina sui generis a cui è affidato il compito di dipanare il bandolo della matassa, nella maniera più divertente possibile, da 'villain' quale è, dall'etimo inglese che sta per 'gente incolta'. Parafrasando Shakespeare, il personaggio meno colto risulta il più saggio perché riesce a comprendere l'inganno che aveva messo nel sacco principi e alti esponenti dell'esercito, sublime ironia di un'opera già di per sé deliziosamente e leziosamente divertente.
Al di là dei singoli talenti, che vanno anche oltre la sola recitazione - splendide le voci di Matteo Milani, Roberto Mantovani e di Mimosa Campironi - è il lavoro corale la vera forza di questo spettacolo. Non ci sono protagonisti o prime 'donne', ma un livello molto alto di professionalità che il pubblico avverte e apprezza. Nella speranza di vederlo ancora in altri spazi, si può agevolmente affermare che questo è il teatro che piace. È la magia dell'artifizio che riesce a far cadere la neve ad agosto e a renderla meravigliosamente credibile in tre ore di sogno e sospensione della realtà quotidiana. È questo il senso del teatro, almeno per chi scrive, un dialogo continuo e infinito con lo spettatore. È un teatro che vede il pubblico, pregio non comune di questi tempi.

Emma Di Lorenzo


Molto rumore per nulla
Dal 5 al 30 Agosto 2015 ore 21.15
regia di Loredana Scaramella
traduzione e adattamento di Loredana Scaramella e Mauro Santopietro
Prodotto da Politeama Srl
Interpreti
(in ordine alfabetico)
MARGHERITA
CLAUDIO
SORBA
ERO
DON PEDRO
SECONDA GUARDIA
FRATE FRANCESCO
BORRACIO
LEONATO
ANTONIO, GIUDICE
DON JUAN
BEATRICE
CORRADO
ORSOLA
CORNIOLO, BALDASSARRE
BENEDETTO
PRIMA GUARDIA  LARA BALBO
FAUSTO CABRA
CRISTIANO CACCAMO
MIMOSA CAMPIRONI
FEDERIGO CECI
JACOPO CROVELLA
DIEGO FACCIOTTI
ALESSANDRO FEDERICO
DANIELE GRIGGIO
ROBERTO MANTOVANI
MATTEO MILANI
BARBARA MOSELLI
IVAN OLIVIERI
LOREDANA PIEDIMONTE
CARLO RAGONE
MAURO SANTOPIETRO
FEDERICO TOLARDO

Musiche eseguite dal vivo dal
Michele Di Paolo, Luca Mereu , Antonio Pappadà

MAESTRO MOVIMENTI DI SCENA
Alberto Bellandi
COSTUMI
Susanna Proietti
MUSICHE
Stefano Fresi
ASSISTENTI ALLA REGIA
Francesca Cioci e Ivan Olivieri
ASSISTENTE AI COSTUMI

Piera Mura

Teatro Eliseo, si avvicina il grande giorno della riapertura. Di Paolo Leone

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Foto Sirio Gori
Insolita mattinata al Teatro Eliseo quella dell’11 settembre, tra operai, poltroncine ancora da fissare e lavori in corso in ogni angolo. Una conferenza stampa “itinerante”, accompagnati per i meandri del  Teatro più importante di Roma dal suo nuovo direttore artistico, Luca Barbareschi, che per più di un’ora ci ha illustrato, scendendo nei particolari, il cantiere quasi ultimato all’interno di un vero Tempio della cultura. Dagli uffici di Via della Consulta lo sciame di giornalisti ha seguito, si potrebbe dire, l’ape regina Barbareschi su e giù nel Teatro. Dal foyer al nuovo ristorante, dalla platea alla galleria, dai bagni ai camerini, dal palcoscenico alla zona di carico/scarico dei materiali di scena, sia nel grande che nel Piccolo Eliseo. A pochi giorni dalla riapertura ufficiale, dopo un anno di scandalosa chiusura, sta per riaprire quello che non sarà soltanto teatro, ma vivrà tutti i giorni ospitando eventi culturali di ogni tipo.
 

Foto Sirio Gori
“Vogliamo ricreare empatia col pubblico. Pubblico che l’anno scorso è stato vessato, con una campagna abbonamenti interrotta”, afferma Barbareschi (e non risarcita – ndr) “Io capisco che tanti non si fidino, viviamo in un Paese di chiacchieroni. Perché dovrei fidarmi quando opere vengono annunciate, vedi la celebre “Nuvola” (di Fuksas – ndr), e che poi rimangono incompiute? Perché credere ad un signore che a febbraio annuncia che farà una cosa e che poi a settembre è pronta? Siamo già a quasi duemila abbonati, abbiamo cominciato da pochissimo, stiamo crescendo. E’ un grande orgoglio, siamo 52 persone, la Eliseo Multimedia, unica società non partecipata, persone che lavorano, collaborano con gli autori e tant’altro. L’ìdea è quella di una factory che scelga una linea editoriale, teatrale, televisiva o cinematografica, con una forte identità italiana.” Tante, a questo proposito, le attività parallele al teatro, come testimoniano gli accordi già chiusi con la Treccani per i lunedì letterari, con il FAI che terrà 40 lezioni e, nel particolare, con Andrea Carandini che ne terrà 8 su Roma, il contratto  stipulato con il Gemelli “per cui declineremo, in giornate particolari, la scienza attraverso una divulgazione di tipo teatrale.”Molto importante anche l’accordo raggiunto con l’Accademia di Santa Cecilia grazie al quale, per quaranta domeniche, ci saranno dei concerti all’Eliseo, primo teatro che avrà una sua orchestra di 40 elementi “e daremo la possibilità ai ragazzi che usciranno dal decimo anno di Accademia, di confrontarsi con il pubblico. Abbiamo un programma meraviglioso e presto avremo anche la musica da camera, sempre la domenica, al Piccolo”.Ci saranno anche incontri con grandi linguisti grazie all’accordo raggiunto con l’Università Roma Tre, “perché voglio parlare della lingua italiana, che oggi non si usa più.” 

Foto Sirio Gori
La ristorazione vedrà l’apertura di un ristorante (molto bella la pavimentazione trasparente e costellata di locandine storiche) aperto tutti i giorni della settimana, anche prima e dopo teatro, e che proporrà una cucina totalmente “Gluten-free”. Sono state affrontate tante tematiche, tra cui quella della partecipazione delle istituzioni “pari a zero”, precisa il direttore. “Non voglio fare nessuna polemica, io sono un privato che si assume le responsabilità. Questo è il Paese dei San Tommaso, che vogliono prima vedere. Un Paese di chiacchieroni. Io, nella mia vita, tutto quello che ho annunciato l’ho poi realizzato. Il 28 settembre riapro due teatri a norma. Non hanno voluto aiutarci? E’ stato deciso che questo sia il teatro meno pagato d’Italia dal Ministero?  Ne prendo atto. Mi auguro che da gennaio vengano a vedere e decidano che meritiamo almeno quello che era elargito prima, quando era un teatro inagibile da 12 anni.” Tra le tante novità, anche una convenzione con Federalberghi per agevolare il soggiorno degli spettatori itineranti. “Una macchina organizzativa come la nostra non può non pensare a chi decide di venire in un’ora a Roma con l’alta velocità per vedere uno spettacolo. Io stesso spesso vado a vedere una mostra e torno qui nell’arco di una mattinata. Sono cambiate le logiche.”Per quanto riguarda i lavori veri e propri, un milione di Euro è stato speso solo per la messa a norma dell’impianto elettrico. Insieme all’architetto Cecilia Montalbotti, direttrice dei lavori, sono stati illustrati alcuni accorgimenti tecnici innovativi e alcune modifiche in platea e nella parte alta delle gallerie, ora molto più luminose. Ci assicurano che per il 28 tutto sarà perfettamente a posto. “Questo è l’Eliseo”, - ha concluso Barbareschi – “una filosofia di passione, amore, di restituzione. Un luogo di crescita spirituale nel senso laico del termine. Un luogo in cui ci sia il tempo per la riflessione, per capire. E proprio lo spettacolo di apertura in cui io stesso sarò interprete (Una tigre del Bengala allo zoo di Baghdad, di Rajiv Joseph, dal 29 settembre – ndr) affronterà molti temi caldi, come il terrorismo, l’Islam. Dopodichè io sarò per tutta la stagione nel mio ufficetto lassù in galleria. Questo è un punto di partenza, non di arrivo. Dobbiamo ricercare l’equilibrio tra economia, perché questa è una macchina economica, e la creatività. La creatività costa e mi piacerebbe molto creare un consorzio di teatri per ottimizzare i costi di comunicazione, gestire anche la crescita. A Milano questo è normale. Competitività ma anche sinergia. Secondo me Roma ha toccato il fondo, più in basso di così penso che ci sia solo il terremoto. Io ho avuto la fortuna e il privilegio di lavorare in tutto il mondo, ma non potrei pensare di andar via da Roma. Questa è la città più bella che abbia mai visto. Però è giusto che nel mio piccolo io contribuisca a cambiare le cose. Ognuno deve fare al massimo quello che sa fare. Nel 2018 questo teatro celebrerà il centenario. Ma anche quello dovrà essere una partenza e non un punto di arrivo. Sostenere le tradizioni perché le tradizioni ci sostengano. E’ una regola aurea. A Roma ci sono ottimi imprenditori nel teatro, vedi Turi Ferro al Quirino, Longobardi che ha fatto rinascere la Sala Umberto e il Brancaccio, la famiglia Balsamo che ha rimesso in piedi straordinariamente l’Ambra Jovinelli, che era fallito. Il mio appello provocatorio è per tanti artisti ricchi…Benigni, Valsecchi e tanti altri, adottate un teatro! A salire sul palco del Teatro Valle e dichiarare la rivoluzione sono capaci tutti, mettere mano al portafogli è un po’ più difficile. Lo faccio veramente l’appello. Ce ne sono di artisti ricchi, ma molto più di me, potrei fare un lungo elenco. Investire due tre milioni di euro, per chi ha avuto il successo che ha avuto, è una cosa possibile. Questa è la vera rivoluzione. Quella dei luoghi, delle eccellenze degli spazi, dare opportunità ai giovani. Tutto si può fare se si vuole. Ma l’atto di generosità è un atto vero. I soldi bisogna metterli, i tempi delle chiacchiere stanno finendo. Questo è un inizio, che Dio ci protegga.” La storia riprende il suo corso.

Paolo Leone


Si ringrazia l’ufficio stampa del Teatro Eliseo, nella persona di Maria Letizia Maffei.

Giorgio Ginori riceve il premio “Una Vita nel Cinema”

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9 settembre, Hotel Excelsior, Venezia Lido: il Direttore Artistico de L’Isola del Cinema, il festival cinematografico sull’Isola Tiberina a Roma, conclutasi il 6 settembre scorso, ha ricevuto, per il suo impegno nel mondo del grande schermo, il premio “Una Vita nel Cinema”. Assieme a lui sono stati premiati Marco Bellocchio, in concorso a Venezia con Sangue del mio sangue, e il regista Carlo Lavagna, nella sezione Orizzonti con il film Arianna. “E’ bellissimo - ha dichiarato Ginori - che nel momento in cui L’Isola del Cinema compie i suoi primi vent’anni di attività,  da Venezia arrivi un Premio che io considero un prezioso riconoscimento non solo per me, ma anche per i miei collaboratori che in  tutti questi anni hanno  sostenuto  con passione e dedizione  un progetto che vuole essere punto di incontro fra il Cinema Italiano e il Cinema Internazionale. E che oggi si sta avviando  a diventare sempre di più una "factory": un centro di creatività non solo per il "Cinema che si vede", ma anche per la produzione, per il "Cinema  che si fa.”

RIcordiamo che "Una Vita nel Cinema"è un premio di grande prestigio che in oltre vent’anni di storia (quella del 2015 è la XXII edizione) è stato consegnato a personalità come Woody Allen e Gillo Pontecorvo.

L'iniziativa ha aperto il progetto triennale Venice Beyond the Ghetto, in occasione dei 500 anni del Ghetto di Venezia.

Marco Podda incanta il pubblico del Verdi. Grande successo a Trieste per la prima assoluta de “Il Canto”. Di Irene Petri

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Teatro Lirico Giuseppe Verdi, Trieste. Domenica 6 settembre 2015

Eseguire delle prime assolute in musica è sempre difficile: nessun precedente con il quale confrontarsi, nessun altro punto di riferimento oltre alla propria capacità di coglierne il senso avendo la partitura come unico appiglio, similmente all’apertura di una nuova via scalando una montagna impervia. Lo è ancor di più quando ciò avviene alla presenza del creatore dell’operache verrà rappresentata nella sua città, verso il quale si sente una grande responsabilità, perché il pubblico potrà o meno cogliere l’essenza di quanto ascolterà e rendere immediatamente al suo autore il proprio giudizio.
La Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste ha così deciso con avvedutezza chi incaricare alla direzione di un’opera ispirata al “Cantico dei Cantici”, poema attribuito a Re Salomone, ma risultato di una importante contaminazione tra testi provenienti da epoche e aree geografiche lontane fra loro: “Il Canto”, rapsodia lirico-sinfonica per soli, coro e orchestra scritta da Marco Podda, ben noto per la sua importante produzione, sia per la quantità delle composizioni,sia per il successo riscontrato con il pubblico. Angelo Cavallaro ha infatti nel suo curriculum, in qualità di direttore d’orchestra, moltissime prime assolute di autori del calibro di Luciano Berio o di Pierre Boulez. I solisti, il soprano turco AyşeŞener e il tenore Alessandro D’Acrissa hanno saputo interpretare con perizia le rispettive parti, come pure l’Orchestra e il Coro del Teatro Verdi, riuscendo tutti assieme a far arrivare, al pubblico presente, numerosissimo e particolarmente attento in sala,con leggerezza e “facilità d’ascolto” una musica sontuosa e densa, ma anche molto complessa da eseguire.
Uomo di grandissima cultura non soltanto musicale, Marco Podda riesce ad arrivare a ogni ascoltatore indipendentemente dalla preparazione, sapendo trasmettere, come pochi, la propria idea a molteplici livelli, gratificando così il senso esteticodi tutti, esperti e non, persone del mestiere e neofiti. Lo ha dimostrato quel silenzio particolare che si è percepito in sala per tutti i cinquanta minuti di esecuzione di quest’opera di musica classica contemporanea, dalle sonorità che rimandano a tradizioni molteplici, ma che qui si ritrovano in un dialogo stratificato e dinamico al tempo stesso, con continui rimandi reciproci. Forza e dolcezza si alternano con una soavità di fondo che dal testo passa alla musica e al testo ritorna.
I molti giovani in sala hanno seguito l’esecuzione con la stessa attenzione dei presenti più anziani, a riprova di quanto sia falsa l’idea che sia necessario proporre soltanto musica semplice o peggio, semplificata, per avere seguito.
A conclusione, quindici minuti di applausi agli interpreti e all’autore, richiamato più volte in palcoscenico in un teatro pieno, a dimostrazione di quanto quest’opera sia stata apprezzata dai presenti.
Occasione preziosa questa, nata da una felice collaborazione tra due realtà triestine molto diverse, l’Ente Lirico triestino ed il “Kol Ha-Tikvà”, incontratesi per realizzare assieme un grande evento in occasione della XVI Giornata Europea della Cultura Ebraica. È stato così possibile unire la professionalità di un’importante realtà, ben presente nel panorama lirico e sinfonico nazionale, con la passione di un’associazione culturale, aderente all’Usci Trieste, associata a sua volta a Feniarco. Le ricerche musicologiche effettuate dal “Kol Ha-Tikvà” hannoinfattipermesso, nel corso dello stesso evento, di ascoltare, per la prima volta in tempi moderni, la breve sinfonia “In limine” composta nel 1975 da Vito Levi (1899-2002), compositore, critico musicale e saggista triestino. Il manoscritto di questa partitura è conservato presso il Civico Museo Teatrale “C. Schmidl” di Trieste, grazie ad un’imponente donazione fatta dalla figlia Laura, per festeggiare le nozze della quale con lo scrittore Fulvio Tomizza, Vito Levi compose un mottetto a quattro voci, “Surgepropera”, tratto anch’esso dal Cantico dei Cantici. Chi ha assistito al concerto ha potuto ascoltare pure questo brano nell’orchestrazione composta da Marco Podda appositamente per l’esecuzione al Verdi.
Ritenuto evento di rilevanza regionale, il concerto ha avutoil patrocinio della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, della Provincia e del Comune di Trieste, oltre che della locale Comunità Ebraica ed è stata resa possibile grazie al sostegno di enti e fondazioni locali e nazionali quali, oltre alla Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi, le Fondazioni Foreman Casali, la Fondazione CRTrieste, l’UCEI (Unione delle Comunità Ebraiche Italiane - Contributo 8 per mille), l’Albero Nascosto Hotel Residence, i Lions Club Trieste Europa, Trieste Host e Trieste Miramar, i Rotary Club Trieste, Trieste Nord e Muggia, Fiori Voci dal Bosco.

Irene Petri


Direttore: Angelo Cavallaro
Soprano: AyşeŞener
Tenore: Alessandro D’Acrissa
Orchestra e Coro della Fondazione Teatro Lirico “Giuseppe Verdi di Trieste”


Programma:

Vito Levi (1899-2002)
In limine (1975)
Sinfonia breve per orchestra
Surgepropera (1961)
Mottetto a quattro voci per coro e orchestra (orchestrazione di Marco Podda)

Marco Podda (1963)
Il Canto (2015)
Rapsodia lirico-sinfonica per soli, coro e orchestra dallo “Shir Ha-Shirim” (Cantico dei Cantici)

Violino solo: Stefano Furini
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